In ricordo del
Generale di Corpo d’Armata
Enrico Mino
Comandante Generale dell’Arma dei
Carabinieri
già comandante della 144ª Compagnia Marconisti
del Comando Superiore
in Africa Settentrionale
Valerio Ricciardelli
a nome dei figli,
nipoti e pronipoti dei reduci della 144ª
Domenica 30 ottobre si ricorderà il quarantacinquesimo anniversario della morte del generale Mino, all’epoca Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri, caduto a Girifalco in Calabria sul Monte Covello, in circostanze ancora ignote.
Il 31 ottobre 1977, alle pendici del Monte
Covello in località Rimitello, a Girifalco (CZ), cadde l’elicottero AB 205 su
cui viaggiavano sei Carabinieri: il Generale C.A. Enrico Mino, Comandante
Generale dell'Arma, il Colonnello Francesco Friscia, Comandante della Legione
di Catanzaro, il Tenente Colonnello Luigi Vilardo, aiutante di campo del
Comandante Generale, il Tenente Colonnello Francesco Sirimarco, Comandante del
Centro Elicotteri di Pratica di Mare, il Tenente Francesco Cerasoli, pilota
della Base Elicotteri di Vibo Valentia, e il Brigadiere Costantino Di Fede,
motorista del Centro Elicotteri di Pratica di Mare.
Il Generale Mino si trovava in
Calabria per conoscere di persona i luoghi dove muovevano le cosche della
’ndrangheta, all’epoca attive nei sequestri di persona, e insieme ai suoi
collaboratori stava effettuando una ricognizione nelle aree di Rosarno,
Taurianova e Reggio Calabria. Non ci furono superstiti.
I pochi resti del comandante Mino
sono sepolti a Esino Lario, nel sacrario dei caduti realizzato nella chiesetta
di S. Nicolao, all’inizio del viale che conduce alla chiesa parrocchiale.
La commemorazione di rito sarà
fatta quest’anno in forma solenne e con la partecipazione di molte autorità
dell’Arma, per merito anche della sensibilità del comandante della stazione di
Bellano che ben interpretando il motto “Nei secoli fedeli” ha voluto rinnovare
il ricordo di un grande uomo delle istituzioni.
L’ultima volta che la ricorrenza fu
celebrata con solennità è stato in occasione del ventennale della morte, nel
1997, promossa da mons. Bruno Colombo che fu parroco di Esino e che raccolse le
memorie e l’eredità spirituale del comandante Mino.
Don Bruno, che strinse un’amicizia profonda con il generale Mino e che raccolse molte sue testimonianze, talune ancora non note, prima della morte del comandante, assieme al sindaco Bertarini dell’epoca, fu molto vicino alla sorella Maria Teresa che morì anch’essa pochi anni dopo ed è fu sepolta nel cimitero di Esino.
Don Bruno divenne quindi
l’esecutore testamentario spirituale di Mino, raccolse le sue carte, i suoi
diari, le sue testimonianze, anche quelli riconducibili al periodo della Seconda
guerra mondiale, e divenne per lungo tempo, fino alla sua morte nel 2018 e per
tutti i carabinieri dell’Arma, il punto di riferimento più autorevole per
continuare a ricordare l’opera del loro comandante caduto a Girifalco.
Ora, parte di quell’eredità e di
quelle carte, sono custodite secondo le indicazioni di don Bruno, dal nipote
Giovanni Colombo, perché possano essere utili a ricordare e tramandare alle
giovani generazioni l’operato e l’esempio di un concittadino così illustre.
Del generale Mino, quasi tutti gli esinesi ne fecero la conoscenza solo nel 1973, a seguito della sua nomina a Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri. Solo lì scoprirono che Mino era invece nato a Esino Superiore, nell’aprile del 1915, perché figlio del primo medico condotto residente del tempo, e che rimase in paese fino all’età di cinque anni.
Solo mio padre, Ricciardelli Amadeo,
conosciuto come Palmiro, ne sapeva qualcosa di più e già da tempo intratteneva
parecchi rapporti con il generale, per il fatto casuale di aver appartenuto
alla pluridecorata 144ª compagnia marconisti in Africa Settentrionale,
comandata dall’allora giovane tenente Mino.
Anche la testimonianza, raccontata
spesso da mio padre, e più volte confermata da un suo ex commilitone è abbastanza
singolare.
Si era alla fine di novembre del
1941, in Africa Settentrionale, in zona di operazione di guerra, nella fascia
di avvicinamento tra il confine libico e l’Egitto, prossimi a supportare
l’avanzata del fronte verso El Alamein, quando mio padre per esigenze di
rafforzamento degli organici della 144ª compagnia, venne trasferito dal reparto
precedente nella nuova compagnia che tanta storia ha avuto da raccontare.
Le ragioni sono presto dette. Le
compagnie dei marconisti nel territorio sconfinato dell’Africa Settentrionale,
che erano al servizio del Comando Superiore, dovevano garantire in situazioni
spesso di impossibilità, un efficiente collegamento tra tutti i reparti
militari, le varie stazioni di comando, lo Stato Maggiore e il Governo
italiano. Una inefficienza nel servizio portava spesse volte irrimediabilmente
a perdere contatti con i reparti, di cui molti disseminati nel deserto
africano, senza punti di riferimento, correvano il rischio di andare incontro a
serie difficoltà.
La 144ª compagnia marconisti era
considerata una compagnia d’élite, composta dai migliori marconisti
dell’esercito, quasi tutti con grande esperienza anche per aver frequentato, durante
il servizio militare prima della guerra, le migliori scuole di trasmissione
dell’esercito. Era composta da uomini provenienti prevalentemente dalle classi
di coscrizione dal 1910 al 1916, e aveva come comandante uno dei più giovani
brillanti ufficiali del Genio, già dotato di grandi capacità organizzative e
tecniche, e di una grande leadership personale.
Mio padre, quando giunse in “fureria”,
l’equivalente del reparto addetto all’amministrazione della compagnia e
dichiarò le sue generalità al furiere Favalli, un simpatico mantovano che
rincontrò dopo la guerra, si sentì dare, assieme al benvenuto, l’informazione
che era compaesano del comandante di compagnia.
La notizia, in quei frangenti
poteva sembrare quasi una fortuna, ma quando mio padre chiese il nome del
comandante e gli fu riposto “tenente Mino”, rispose con decisione e forse con
delusione per l’opportunità venuta meno: “a Esino non c’è nessun cognome Mino,
si deve trattare di un errore”.
Invece non era così e le cose si
chiarirono nel giro di breve tempo, quando il comandante incontrando i nuovi arrivati
spiegò a mio padre, quasi incredulo, di essere nato a Esino Superiore nel 1915,
perché figlio del medico condotto.
Lo stupore e l’emozione furono
enormi, anche perché scoprirono di aver frequentato l’asilo di Esino Superiore assieme,
di cui si ha anche testimonianza in una bellissima fotografia della classe.
La famiglia di Mino giunse a Esino
nel 1914, a seguito della nomina del padre Alfredo a medico condotto residente.
Non era usuale che un medico potesse a quell’epoca risiedere in un paesino di
montagna: Non vi arrivava ancora la carrozzabile, giunta solo dieci anni dopo,
e si giungeva fin lassù solo per una faticosa mulattiera, che per i benestanti
o chi avesse problemi di salute poteva essere percorsa su una poltrona ancorata
a una slitta e trainata da un mulo, mentre per gli altri solo a piedi. Ma non
solo, mancavano anche abitazioni sufficientemente adeguate ad accogliere
famiglie di un ceto sociale benestante come potesse essere quella di un medico.
Fortuna volle, che da poco tempo fosse stato terminato il
fabbricato del nuovo asilo di Esino Superiore, proprio ai margini dell’abitato,
e in una posizione veramente confortevole.
Nel fabbricato erano stati
ricavati, oltre ai locali necessari all’asilo d’infanzia, anche altri sette
locali resi in fretta abitativi per l’uso del medico, che saranno successivamente
trasformati a dimora delle Suore del Cottolengo giunte in paese verso il 1920 per
gestire il nuovo asilo.
Il dottor Mino contrattualizzò
con l’amministrazione dell’asilo, rappresentata dal parroco del tempo,
l’accomodamento e l’affitto di quei locali che si trovavano al primo piano
dello stabile, così che il figlio Enrico, quando si trovò a frequentare l’allora
scuola d’infanzia non doveva che scendere una rampa di scale per giungere al
locale dei bimbi.
Enrico nacque il 10 aprile del
1915 e fu chiamato anche Alfredo, Annibale, Napoleone e Pasquale, già
prevedendo una carriera militare di alti comandi e responsabilità. Fu
battezzato da don Angelo Vergottini, appena giunto in parrocchia dopo pochi
giorni dall’abbandono rocambolesco dei preti Fondra.
Rimase a Esino per circa cinque anni, poi il padre si trasferì in una nuova condotta, certamente più comoda di quella esinese, dove prese residenza, per trasferirvi l’anno successivo tutta la famiglia.
A sostegno della signora Olga, la
moglie del medico, per le faccende di casa e la cura di Enrico, provvide la
Paolina-meglio conosciuta come la mam Paola- che trovandosi il marito
emigrato in California doveva provvedere da sola anche alla cura dei suoi
figli.
Il comandante Mino rincontrò la Paolina, con grande emozione, in occasione della sua prima visita a Esino, già nelle vesti di Comandante Generale dell’Arma.
Durante il fronte d’Africa, nella Seconda guerra mondiale, le frequentazioni tra Mino e mio padre e le occasioni di raccontare delle cose esinesi furono poche. Mio padre, era spesso dislocato in appostamenti di stazioni radio in mezzo al deserto e più prossime alle linee del fronte. Solo il giorno di Natale del 1941, mentre prestava servizio radio al Comando Superiore, ricevette la visita del comandante. Anche se era il giorno di Natale, non fu possibile la distribuzione del rancio, per la mancanza dei rifornimenti provenienti dall’Italia che ormai venivano sempre più intercettati dagli arei inglesi, di stanza a Malta, che bombardavano e affondavano le navi italiane nel Mediterraneo.
La situazione non era tra le
migliori e il comandante Mino consapevole del disagio e della fame dei suoi
uomini, in quella occasione, raggiunse mio padre portandogli un pezzo di
cioccolato. Fu l’unica volta, forse per l’occasione natalizia, in cui
ricordarono Esino, il comandante con vaghi ricordi dell’asilo e dei compagni
che gli tiravano i sassi, forse perché era un bambino agiato.
Mio padre rimase in forza alla 144ª
fino in prossimità della battaglia di El Alamein, quando anche il comandante
Mino, proprio per la sua grande esperienza e capacità organizzativa venne
promosso e subito dirottato a responsabilità superiori.
L’addio di Mino dalla compagnia
lasciò un groppo in gola a tutti i soldati.
Nel suo stile sobrio, che già
faceva trasparire il carattere di un uomo delle istituzioni, il 20 agosto del
1942, ebbe a concludere il suo discorso agli ufficiali, sottoufficiali,
graduati e genieri della compagnia dicendo: “Seguitate a compiere come
prima, come sempre, come sapete compierlo voi, il vostro dovere. Tenete sempre
alto il nome della vostra Compagnia: un giorno sarà per voi motivo di orgoglio
e di soddisfazione e forse unico premio, il poter dire di averne fatto parte”.
Un graduato nel suo diario scrisse:”
il saluto del Comandante ai suoi soldati non avrebbe potuto essere più commovente.
Inquadrati, in silenzio, soli nel deserto, egli ci rivolse la parola e la sua
fu una raccomandazione soltanto: tenete sempre alto il nome della 144, un
giorno sarà per voi motivo d’orgoglio e di soddisfazione e FORSE UNICO PREMIO
il poter dire di averne fatto parte. Poi, accompagnato da due volontari partì
senza voltarsi verso il suo nuovo destino, laggiù nel deserto. E quando il
vecchio O.M. (camion) che lo trasportava scomparve alla nostra vista
dietro il ciglio dell’uadi (letto di un torrente, quasi un canyon o
canalone in cui scorre un corso d'acqua a carattere non perenne), ognuno di
noi si ritirò nella sua tenda con un nodo alla gola…”
Di lì a pochi mesi la situazione
precipitò e dopo la battaglia di El Alamein tutte le forze dovettero ritirarsi
in Tunisia dove il 13 maggio del 1943, a Enfidaville, il generale Messe
dichiarò la resa senza condizioni.
Si deve alla opera intelligente e
attivissima di Mino se nella sterminata regione del Sahara-Libico, prima e
durante il difficile ripiegamento in Tunisia, i collegamenti radiofonici
funzionarono con continuità e prontezza, assicurando il buono svolgimento delle
operazioni e salvando molte vite umane.
Tutti poi caddero prigionieri e
con alterne fortune trascorsero quasi altri tre anni di prigionia chi in
Inghilterra, chi in America, chi nelle Indie. Mio padre e tanti altri commilitoni
della 144 finirono dapprima in Scozia e poi nel Galles ad Ogbourne Maizey e
furono rimpatriati solo agli inizi del 1946. Mino con altri ufficiali,
trascorse la prigionia nei campi di Egitto e raccolse alcune sue memorie nel
diario pubblicato nella storia della 144ª compagnia, dal titolo: i Reticolati.
Fu rimpatriato a fine luglio del
1946, dopo oltre sette anni di interrotta lontananza oltremare.
La lettura delle memorie del
comandante Mino del periodo di prigionia, assieme ai diari e alle storie dei
suoi soldati, racchiuse nei cinque volumi della Storia della 144ª Compagnia Marconisti,
mi ha permesso di cogliere le radici di quei principi e valori che diventeranno
le fondamenta della nostra Carta costituzionale, sulle quali si sono poi state costruite
le istituzioni della nostra Repubblica.
Gli uomini della 144ª, pur
essendo figli di una cultura militare di un regime totalitario, che ha
trascinato l’Italia nel sanguinoso disastro
della Seconda guerra mondiale, si sono comportati con dignità e con coerenza,
sacrificandosi nel nome di quella legge suprema che sia chiama DOVERE. Hanno
capito di essere stati dalla parte sbagliata, protagonisti e vittime di un
regime scellerato che i valori della Resistenza hanno combattuto, creando le nuove
condizioni per la rinascita di un Paese libero e democratico.
Il comandante Mino, già prima
della capitolazione finale, nella solitudine del campo di prigionia ebbe a
scrivere il suo monito e la sua esortazione che volle indicare nelle parole:
NON PERDONARE e RICORDARE e che sono ben esposti vicini alla sua tomba, ma che
voglio riportare.
Attorno ai nuovi valori della nostra Costituzione e delle istituzioni repubblicane, i reduci della 144ª compagnia marconisti hanno iniziato a ritrovarsi con il loro vecchio comandante che, nel frattempo e per alti meriti, aveva assunto posizioni di responsabilità sempre più importanti, diventando un Ufficiale Generale di alta classe con incarichi di grande responsabilità e prestigio. Fu anche consigliere militare aggiunto (per l’Esercito) del Presidente della Repubblica.
Nel 1966, gli ex combattenti
della 144 compagnia marconisti, si costituirono in una associazione di reduci
di guerra dell’Africa Settentrionale, e diedero vita, assieme al loro ex
comandante a molte iniziative organizzate nei tradizionali raduni regionali e
nazionali, che vedevano sempre la presenza del comandante Mino.
Io partecipai giovinetto, nel 1970
al raduno di Bergamo, dove per la prima volta incontrai il generale Mino che a
quell’epoca era già stato nominato generale di corpo d’armata in Sicilia. Mio
padre lo rincontrò di nuovo, dopo ben 28 anni, e assieme ricordarono l’episodio
del Natale del 1941. A me invece chiese che gli parlassi di Esino. Da allora
iniziò una corrispondenza regolare e mi ricordo che fu il comandante Mino che
con insistenza convinse mio padre a presentare la richiesta al Ministero della
difesa per la concessione della Croce di Guerra, concessagli poi nel 1971 per
più di due anni ininterrotti passati al fronte.
A febbraio del 1973 si seppe
della nomina del generale Mino a Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri
e solo il primo maggio del 1975 tornò a visitare Esino. Io fui testimone di
quell’evento. La corrispondenza tra il comandante e mio padre continuava
regolarmente, anche nel nuovo ruolo del comandante di maggior responsabilità. Quando
il generale era preso dalle sue occupazioni, sopperiva con grande disponibilità
il maggiore Vilardo, suo assistente, che morì anch’esso a Girifalco.
Mino tornò a Esino il 16 ottobre del 1977, solo due settimane prima del tragico evento di Girifalco, amareggiato per le responsabilità di cui era stato investito per la fuga clamorosa del criminale nazista Kappler, responsabile della strage delle Fosse Ardeatine, dall’ospedale Celio.
Sul piazzale del Municipio, il
generale dopo aver ricevuto dal sindaco Bertarini il riconoscimento di
cittadino emerito, rivolse ai suoi concittadini un saluto che si è prolungato,
con intensa carica emotiva, per ben 22 minuti. Alla fine, la gente l’ha
commentato interpretandolo come un testamento, e distanza di anni potremmo
aggiungere: una profezia, un presentimento.
In quei giorni, dalle note scritte successivamente da don Bruno Colombo, il comandante aveva risposto anche a una lettera di don Piero Castioni, il Cappellano: “…Non le nascondo che la lettura della sua missiva, che naturalmente mi ha riportato col pensiero al mio paese natale e alle tanto brave e semplici persone che vi abitano, ha costituito per me motivo di conforto, tanto più necessario nel non facile momento che sto attraversando”. La lettera era datata 30 settembre 1977; il 16 ottobre il saluto testamento-presentimento.
Mino era già prossimo al
pensionamento e aveva deciso al termine del suo mandato di trasferirsi a Esino,
assieme alla sorella Maria Teresa. Lui, uomo di mondo, delle istituzioni, dopo
aver servito lo Stato, aveva voglia di fermarsi, di avere una casa nella
tranquillità e di potersi ritirare a riflettere. Aveva fatto queste confidenze
a don Bruno che stava già predisponendo una casa del beneficio parrocchiale.
In effetti a Roma viveva in un piccolo appartamento e addirittura il suo letto altro non era che una vecchia brandina militare. Non avendo una famiglia, viveva solo con la sorella, e dopo il lavoro, dedicava tutte le sue energie e le sue sostanze ad aiutare tutti i suoi collaboratori che avevano bisogno. Fu padre e fratello maggiore di molti. Conservo una testimonianza recente di un amico, che orfano di un maresciallo dei carabinieri, fece la scuola nel collegio degli orfani dell’Arma e ricordava come il sabato pomeriggio, il comandante Mino fosse solito recarsi da loro, con numerosi regali e dopo la distribuzione consentiva che questi bambini salissero sulla sua Fiat 130 guidata dall’autista, che nel cortile del collegio, faceva scorrazzare e divertire i fanciulli.
Il 31 ottobre del 1977, nel tardo
pomeriggio, la notizia della caduta dell’elicottero a Girifalco sul Monte
Covello in Calabria, sul quale si trovava il generale. Sgomento e panico;
seguirono subito continui contatti con Roma, con il Comando generale e la
Sorella, e con Milano, il Comando della Divisone Pastrengo e con il generale
Palombi, molto legato a Mino. Dopo ore di attesa angosciante, passata la
mezzanotte giunse la telefonata del colonello Corsi, a nome del generale
Palombi, che ruppe l’esilissimo filo di speranza.
I pochi resti martoriati del generale,
tenuti insieme dalla tuta militare, erano attorcigliati attorno ad un
alberello. Insieme con lui gli altri ufficiali, tra cui il buon Vilardo. Ne
seguirono i funerali di stato a Roma e poi i resti della salma vennero portati
a Esino.
Don Bruno, in una delle sue ultime commemorazioni, ebbe a dire della morte del generale Mino: “…L’ultimo tragico atto di una nobile vita chiusa in maniera imprevista, assurda, ingiusta, impietosa, e fino ad ora non senza una zona di mistero. Ma forse qualcuno sa o potrebbe o doverne sapere di più”.
“La sua morte ha colto tutti
di sorpresa creando un vuoto dentro di noi ed una meraviglia che sa
dell’incredibile”. È quanto riportato da un estratto dal Bollettino
dell’Istituto storico e di cultura dell’Arma del Genio-fascicolo 113.
Lo stesso Bollettino aggiunge: “ E’
impossibile parlare di una figura tanto nobile ed elevata qual era il generale
Mino, ma ci accingiamo a farlo per onorare la sua memoria e rendere omaggio
alle sue opere che continuano a vivere, nonostante la sua scomparsa, quasi a
voler tenacemente testimoniare la sua nobile figura. Uomo instancabile, esempio
raro di attaccamento al dovere…stroncato dalla morte proprio per essere ancora
una volta, fedele ai suoi ideali ed ai suoi elevati sentimenti di cittadino e
di militare, mentre si recava a visitare reparti di CC. Che si erano distinti
nelle operazioni per la tutela dei cittadini”.
E ancora don Bruno ricordava “che
molte furono le attestazioni di stima e di affetto, prima e dopo la sua tragica
morte, all’interno e all’esterno dell’Arma. Ma certamente, insieme alla montagna
di queste attestazioni, vi erano anche insinuazioni amare, e invidie e gelosie
non sono mancate, e il generale lo sapeva e le individuava con lucidità e dove
ci è riuscito le ha superate e dove non c’è riuscito, con fermezza, le ha
sopportate e senza vendicarsi, pur potendolo fare”.
Ancora don Bruno ricordava che il
generale gli diceva, ricordando quegli eventi: “Siamo nella gabbia dei leoni”.
Ma si comportava con spirito di
combattente, in nome di quella legge suprema che già dal campo di prigionia del
Sahara, chiamava DOVERE. E la imponeva a sé stesso, prima di ricordarlo agli
altri.
E don Bruno faceva ancora
osservare: “che sotto questo aspetto, Mino era piuttosto laico-kantiano: il
dovere come legge suprema, non il dovere spettacolo che non ha voluto anche
nell’ora suprema. Ma in questo c’era anche la coincidenza con la parola di Dio:
“Ascolta Israele! Queste sono le leggi. Osservale e vivrai”.
Nel ricordo dei militi caduti e
dei feriti in attività di servizio, nel suo primo anno di Comandante Generale
dell’Arma ebbe ad esortare. “Non dimenticateli. Essi ti chiedono per l’onore
dell’Arma e per il bene dell’Italia, di non essere all’occorrenza, da meno. E
guarda fiducioso all’avvenire, comunque esso si presenti, perché sempre arride
il successo a chi ha fede e speranza e, sorretto da saldi principi, opera per
una giusta causa”.
Per parecchi anni, anche i reduci della 144ª ricordarono con affetto il loro comandante.
Nel 1978, il tradizionale
convegno nazionale venne organizzato a Esino con la presenza di 200 reduci.
C’erano tutti i capi stazione
della 144, coloro che avevano fatto la storia di quella compagnia e officiò la messa
padre Edoardo Formato, fratello di padre Romualdo, il cappellano della divisione
Acqui che fu testimone dell’efferato eccidio di Cefalonia.
Oggi, dopo 45 anni dalla morte del comandante e dopo ormai ottant’anni dalla fine del conflitto, anche i figli di quei reduci, Giorgio Puppi di Bergamo, Luigi Guizzetti di Brescia, Valerio Ricciardelli di Esino Lario, conservano il ricordo dei sacrifici patiti dai loro genitori durante la guerra e hanno ridato vita alle memorie della 144ma compagnia marconisti e del suo comandante, perché assieme all’Arma dei Carabinieri, alle istituzioni e di tutti coloro che conobbero e furono vicini al generale Mino, ciascuno al suo posto secondo il suo ruolo, si faccia ancora propria l’esortazione di don Bruno: “ Quale omaggio migliore al generale Mino, se non quello di accogliere il suo messaggio e gridarlo agli altri: “La speranza è legata alla fedeltà al Dovere”.